La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24280/2019, si è espressa in merito alla classificazione catastale errata e all’eventuale diritto al rimborso delle imposte. Vediamo quanto è stato stabilito.
Cos’è la classe di un immobile?
La classe di un immobile esprime il suo grado di redditività. Le classi catastali rappresentano, infatti, la capacità di reddito di una unità immobiliare rientrante nelle categorie dei gruppi A, B, C, D e F.
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Le categorie catastali indicano la tipologia dell’immobile, mentre la classe catastale esprime, all’interno della stessa categoria, il grado di redditività.
Classificazione catastale sbagliata? Il rimborso delle imposte non è dovuto
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 24280 del 30 settembre 2019, ha stabilito che il contribuente che sbaglia la classificazione catastale dell’immobile, non inquadrandolo catastalmente nelle categorie catastali esenti da E1 a E9, non ha diritto al rimborso delle imposte locali pagate e non dovute. Questo avviene anche se gli immobili per loro natura sono classificabili in una di queste categorie.
IL CASO
La sentenza viene emessa sulla base del ricorso proposto dall’Azienda X s.p.a. contro il Comune Y, poiché avversa al rifiutato rimborso dell’ICI per l’anno 2008 richiesto al Comune Y.
Tale richiesta era stata avanzata in quanto gli immobili di sua proprietà (nei quali vi è un mercato ortofrutticolo) erano stati classificati nella categoria D/8 per un errore del tecnico incaricato, quando invece l’opera era stata dichiarata di pubblica utilità sin dal 1993, con decreto del presidente della Regione Z.
Questo errore era stato corretto nel 2012, attraverso la presentazione della denuncia di variazione con procedura DOCFA. Il passaggio dalla categoria D/8 a quella E/3 (costruzioni e fabbricati per speciali esigenze pubbliche, esente ICI) era stato formalizzato nel dicembre 2013.
Secondo l’Azienda X l’esenzione che ne consegue avrebbe dovuto trovare applicazione anche per gli anni 2009/2008, considerato che l’esenzione ICI ha valore non solo per gli immobili classificati come E/3 ma anche per quelli così classificabili. In questo caso l’immobile sarebbe stato fin dall’inizio classificabile in questo modo, considerata la destinazione a pubblica utilità.
La tesi dell’Azienda X era stata inizialmente accolta dal giudice di primo grado, ma il Comune Y aveva interposto appello accolto dalla CTR della Regione Z. L’Azienda X, quindi, ha proposto ricorso per Cassazione.
LA DECISIONE
Nella sua pronuncia la Cassazione ha affermato che “gli immobili erroneamente classificati in una categoria non conforme alla destinazione d’uso, non possono essere esentati da imponibilità ove tale errato classamento sia stato determinato da una omissione del contribuente, che non abbia provveduto a denunciare l’effettivo utilizzo del cespite, non essendo onere dell’enteimpositore richiedere all’ufficio competente la modifiche della rendita preesistente nell’ipotesi di negligenza del soggetto per legge onerato” (Cass. n. 3277/2019; Cass. 1704/2016; Cass. 15025/2016).
Questo significa che il contribuente ha l’onere di denunciare esattamente la destinazione d’uso. In caso di errore la rettifica non può estendere i suoi effetti agli anni di imposta in cui l’amministrazione si è regolata sulla base della dichiarazione del contribuente.
L’articolo 7, c. 1, lett. b) del decreto legislativo 504/1992, secondo il quale sono esenti da imposta “i fabbricati classificati o classificabili nelle
categorie catastali da E/1 a E/9” deve essere letto nel senso che l’esenzione è possibile per i “fabbricati così classificati oppure a quelli non ancora iscritti in catasto, ma nondimeno così classificabili, e che per il periodo in cui non sono stati ancora classificati, sono esenti da imposta se sussistono, per
il medesimo periodo, i presupposti per la loro iscrizione nella categorie indicate“.
Fonte: Corte di Cassazione, sentenza n. 24280/2019
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Salvatore 05/06/2019
Nell’ottobre del 2003 ho venduto un’immobile composto; Di garage, primo e secondo piano, mentre, il vano a terzo pian, in quanto abusivo e’ stato venduto con scrittura privata dallo stesso notaio, con l’obbligo per me di attivarmi qualora le leggi future consentiranno di provvedere alla sanatoria di detto vano al terzo piano, e’ il costo di tali oneri, compreso la stipula dell’atto pubblico e’ a totale carico dell’acquirente. Dopo quindici anni, si attiva il comune, non capisco perché dopo tanto tempo, chiedendomi l’imposta IMU del terzo piano in questione. ho chiesto la rivalsa di pagamento e ripetutamente ha risposto di si, pero’ poi, a distanza di un’anno quel si e’ diventato palesemente no. Nella scrittura privata, si legge tra l’altro, che l’immobile e’ stato ristrutturato con la licenza rilasciata nel 1957 e ulteriore licenza nel 1973 quest’ultima licenza riquadrerebbe confusamente la chiusura di una finestra a piano terra e il libero calpestio del terrazzo a secondo piano. Questa dubbia licenza del 1973 ha precluso la possibilita’ di potere commercializzare il terzo piano in unico contesto, secondo quanto prevede la legge Ponte per le costruzioni ante 01/09/1967. Considerando che l’intera struttura e’ stata realizzata fino al secondo piano con la prima licenza del 1957, il notaio poteva non dichiarare l’esistenza della licenza datata 1973? Il notaio poteva consigliare la sanatoria del terzo piano, e poi stipulare l’atto ? Il compratore nelle more e’ tenuto a pagare l’imposta IMU, in previsione di un probabile usucapione ventennale nella quale, sussistano tutti i presupposti (UTI DOMINUS)? Si potrebbe ipotizzare un’errore del notaio e quindi chiedere la rettifica dell’atto e l’inserimento del vano a terzo piano? La ringrazio anticipatamente cordiali saluti Salvatore.
Gentile Salvatore,
se il Notaio ha ritenuto che l’atto non poteva essere eseguito poiché si trattava di un immobile edificato abusivamente, senza nessuna licenza abusiva, non è stato commesso alcun errore.
Di fatto lei risulta ancora intestatario di quell’immobile e quindi il Comune le richiede il versamento dei tributi dovuti. Le consigliamo di rivolgersi ad un tecnico abilitato per verificare se è possibile sanare, con le leggi attuali, tale situazione e procedere con il rogito definitivo.
Cordiali saluti.